Roccabernarda
Roccabernarda (KR)
A quaranta chilometri dalla città di Crotone, sulla strada che conduce in Sila, la ridente cittadina del Marchesato di Roccabernarda confina con i comuni di Petilia Policastro, Caccuri, Cotronei, Cutro, Mesoraca, Santa Severina e San Mauro Marchesato. Anticamente era detta Rocca ’i Tacina, oggi, invece, Roccabernarda. Pare abbia preso il nome da Bernardo del Caprio – discendente del re di Francia Carlo il Calvo – che la tenne in feudo intorno al 1100. Altri toponimi che si alternarono prima della definitiva denominazione furono Targe e Rocca di Pagani. Comune autonomo dal 1811, Roccabernarda fu inclusa prima nel Cantone di Crotone e poi nel Governo di Policastro. Il ritrovamento occasionale, in contrada Serrarossa, di reperti di età greca e romana, fa ipotizzare che il territorio sia stato anticamente abitato e sia stata una stazione dei Crotoniati in una particolare itinerario di cui abbiamo indirettamente una prova con la sopravvivenza dell’antica e importante fiera di Mulerà, che nei tempi passati, doveva essere baricentro per i mercati esistenti. Il suo centro storico è ubicato su una collina e l’abitato si è sviluppato lungo i piedi della Sila Piccola e verso il fiume Tacina. Il paese è prevalentemente agricolo, basti pensare ai vasti aranceti che si susseguono lungo il fiume Tacina, i settori economici di Roccabernarda riguardano soprattutto l’agricoltura, di particolare qualità è l’olio e i prodotti da esso derivati, che si ottengono in queste terre. Stentano invece a decollare le attività di cooperazione e turistiche nonostante il suo territorio si trovi sul limite di Monte Fuscaldo, tra Santa Severina e San Mauro Marchesato, area ricca di boschi secolari, sorgenti d’acqua e popolata da una grande varietà di fauna. Di particolare importanza sono i prodotti derivati dalla zootecnia, provole, formaggi, ricotte, “sciungate” prodotti artigianalmente dai pochi contadini rimasti. Fiore all’occhiello dell’artigianato locale sono i lavori femminili che vanno dalle esecuzioni al telaio, all’uncinetto, dal ricamo alle opere d’intreccio e di applicazione. Non meno importanti sono però i lavori d’artigianato maschili eseguiti con la tecnica dell’intarsio e del tornio. Per quanto riguardo l’allevamento, per la sua centralità rispetto agli altri comuni della provincia crotonese, ogni anno nel mese di settembre vi si svolge la tradizionale fiera di Mulerà, con la caratteristica vendita di animali. Durante le trattative per l’acquisto quasi sempre c’è un mediatore e, a conclusione della vendita, si usa brindare col vino e prende il via tutto un cerimoniale di strette di mano con le persone che stanno intorno. Sul timpone di origine arenaria, che purtroppo versa in condizioni precarie, sono ancora visibili i ruderi dell’antica Rocca, nella quale è possibile scorgere i resti dell’ingresso del castello e la vecchia chiesa di Santa Maria Assunta. Poco distante si può ammirare il convento dei minimi (di San Francesco da Paola), pressoché intatto, costruito nel 1539, fu fondato dal frate Laurentius de Bernalda. Tantissimi i benefattori e devoti che elargivano soldi in onore di San Francesco di Paola. In seguito alle incursioni turche del 1547 si decimò la popolazione di Roccabernarda e il conseguente spopolamento ma, grazie ai numerosi lasciti per le messe in suffraggio, le rendite del convento aumentarono e ciò permise ai frati di adoperarsi per numerose compra-vendita così da accumulare immensi capitali. Anche i più abbienti, come la vedova di Antonio de Marino di Roccabernarda, Donna Fiore, lasciò al monastero il primo piano del castello. Col passare del tempo si accumularono tante ricchezze che fu possibile mantenere nel convento ben dodici frati che poterono contare su rendite sicure e più che sufficienti. Nel frattempo San Francesco di Paola fu nominato protettore di Roccabernarda e tutti i proventi delle donazioni a favore del Santo di Calabria, furono versati nelle casse del convento. Tutte queste ricchezze durano per decenni ma nel 1638 a causa di un forte terremoto Roccabernarda subì gravissimi danni e ci furono numerosi morti nella popolazione e quindi i lasciti diminuirono e quindi le rendite. A causa del terremoto tantissimi edifici furono abbandonati e quindi non rendevano più ricchezza. Purtroppo, però, la regressione economica si prolunga e Roccabernarda fvede andar via i propri concittadini, infatti da più di duemila anime che c’erano nel 1648, nel 1675 scesero a ottocentoquarantacinque. Ma i frati non si persero d’animo e riuscirono ad avere rendite non solo sull’affitto dei tanti terreni che avevano acquisiti, ma anche sulle elemosine e sul bestiame (anche se non erano costanti nel tempo ma di anno in anno avevano alti e bassi). Altri fondi arrivavano dalla vendita delle vacche e da tutto ciò che producevano come i formaggi, le provole, i casicavalli e dalla festa del due aprile in devozione del Santo Patrono, San Francesco di Paola, che ogni anno riuniva fedeli e devoti che riempivano le vie di Roccabernarda e che durante la festa partecipavano anche alla fiera organizzata per l’occasione nel convento. A tutto ciò si aggiungevano i ricavati per le numerose messe che si celebravano e le offerte per l’olio e per la polvere da sparo. Il complesso è formato dalla chiesa a navata unica e dal monastero adiacente che si sviluppa attorno a un chiostro. Lateralmente alla struttura, sono evidenti i resti di una torre circolare di tipologia normanna, appartenenti probabilmente a una costruzione più antica. La tradizione, a Roccabernarda come in tutti i piccoli centri dell’entroterra, vuole che ancora in casa si preparino le provviste e si perpetui quella sorta di rito che è l’uccisione del maiale per preparare insaccati col sapore del tempo. È molto praticata la caccia, dal momento che le campagne sono particolarmente ricche di selvaggina, dove il cinghiale rappresenta la più ambita preda!
Curiosità
Un racconto popolare narra di un pastore alla ricerca di un agnellino smarrito nel bosco che, incuriosito dalla presenza di una botola, l’aprì e vi trovò un enorme tesoro. Si riempì tutte le tasche dei vestiti e fece per uscire, ma gli caddero delle monete, che svegliarono il custode del tesoro. Questi, accortosi dell’intruso, sprangò la botola chiudendo il pastore all’interno. In cambio della sua libertà, il pastore fu costretto a restituire fino all’ultima moneta. Terrorizzato da quell’esperienza, errò per sette giorni e sette notti nei boschi prima di poter tornare a casa e ricordare quanto gli era accaduto. Altra curiosità riguarda i Briganti: a Roccabernarda c’era la banda del Repulino, un signore spericolato che si stabilì con la sua banda nella valle “du Repulino” ex Valle dei Maggesi in una grotta, che ancora oggi è visibile, ricoperta di foltissima vegetazione. Dalla grotta dettava ordini ai pastori i quali erano costretti a versare somme altrimenti gli venivano uccisi gli animali. Il nome Repulino era in realtà un soprannome che stava a significare uomo audace e svelto come una lepre.Con la sua morte finì l’epoca del brigantaggio nel Marchesato.